Ci si sente soli anche in mezzo alla gente. Ci si sente soli anche mentre stai parlando con qualcuno, quando vedi che dall’altra parte non è accesa la lampadina della ricettività. E tu parli, spieghi, ti giustifichi fino allo sfinimento anche, ma di là il nulla. Non una presa di posizione, non la curiosità di capire cosa ti porta a dire certe parole. Vorrei vomitarle tutte quelle parole incamerate per mesi, debitamente analizzate, rese positive e rispedite al mittente con un valore diverso, ricche soprattutto di speranza. Ma ogni singola sillaba è pesante come un macigno. La distanza siderale che si è creata da qualche tempo è anche sintomo di freddezza e menefreghismo. Ogni volta che mi chiedo: perché? L’unica risposta che trovo è sempre la stessa. Non fa per te. Non è la persona che avevi idealizzato, che hai sorretto in un cammino duro e intenso. Non si chiede mai nulla in cambio quando si decide di soccorrere qualcuno per propria scelta. Magari si rimane però delusi dall’assenza di attenzione, non di gratitudine, non di un obbligo morale a restituire quanto preso, semplicemente attenzione, percezione dell’esistenza di qualcuno che ti cammina a fianco. La mia presenza non deve intralciare in alcun modo il tuo percorso di vita, ma dimmi se hai deciso di cambiare strada. Non lasciarmi sullo sterrato in attesa che tu passi a prendermi. Dimmi che non passerai, che hai deciso di intraprendere un viaggio in solitudine, o accompagnato da altri compagni di viaggio. Dimmi qualcosa però, non lasciarmi nel limbo, che crea quell’oblio dal quale sempre più difficilmente riesco ad uscire. Mi sento l’esempio stesso della solitudine, quello da usare come esempio, con dei ricorsi storici che mi inibiscono, mi fanno arretrare, mi lasciano in un angolo. Ci sono tante solitudini. Quella in cui piomba l’anima fragile delle persone buone, è la più potente di tutte. Annienta. Ti annienta. Ti fa morire dentro.
ALZATI!
Ci vuole poco ad emozionarmi. A volte basta un cielo stellato, o un’alba particolarmente colorata che nel mio cuore si scatenano reazioni incontrollabili che mi portano alle lacrime. E così come mi emoziono di fronte alle cose belle della vita, mi immergo nella mia forza interiore quando devo sopportare il dolore. La vita non mi ha certo risparmiato grandi dolori, preoccupazioni o ansie. Sono come una spugna. Assorbo tutto ciò che di brutto ho intorno e talvolta non riesco a liberarmene. Questo provoca dentro di me uno squilibrio, che mi porta a vacillare e cadere. Ma trovo sempre la forza per rialzarmi e andare avanti. il mio cuore me l’hanno ridotto in pezzi tante volte, ma altrettante volte sono riuscita a suturare le ferite, senza alcuno scompenso. Il dramma, di questa maledetta vita, è che talvolta sento una sorta di accanimento nei miei confronti, con situazioni che ciclicamente ritornano e vanno a colpire proprio lì, dove la cicatrice è ancora fresca. Il problema, se di problema si può parlare, è che non riesco a farmi scivolare di dosso il senso di responsabilità nei confronti degli altri. Ho una talento innato per trovare sulla mia strada persone in difficoltà, con il rischio, ogni volta, di perderle. In qualsiasi senso del termine perdere. Talvolta la vita si accanisce e le persone le porta proprio via. E quel dolore è talmente grande da spezzare in due il respiro, da farci sentire così soli al mondo che ci chiediamo: e io, cosa sto qui a fare? E di solito la risposta a quella domanda la porta una nuova avventura. Una prova di forza, la vita, che non risparmia niente e nessuno. L’esperienza, solo quella può consentirci di metabolizzare le cadute e memorizzare gli errori, così da camminare saldamente nel lungo percorso in questo mondo. E anche se il cammino sarà in solitudine, mi appoggio al bastone dell’esperienza per poter portare a termine il mio viaggio. Perché l’obiettivo è andare sempre avanti, a testa alta, con un bagaglio esperienziale sempre più pesante e ricco. Senza aver paura di guardarsi allo specchio, perché quell’immagine riflessa, pur con qualche ruga in più, pur con tanti capelli bianchi e un sorriso un po’ più spento, è il risultato di una storia vissuta completamente. E non la storia raccontata da qualcun altro.
IL COMA DELLA RAGIONE
Presunzione, arroganza, sentirsi al di sopra di qualsiasi cosa. Tutto questo è il risultato dell’apatica società in evoluzione. Le sembianze umane appaiono ormai come veri e propri spettri. Non c’è riconoscenza, meritocrazia, non c’è la semplice passione nel fare le cose, non c’è nemmeno più la voglia di mettersi alla prova. Tutto questo per l’assenza di dimestichezza al sacrificio. L’era tecnologica ci ha catapultati nel mondo del tutto e subito e così non ci si accorge nemmeno che i rapporti sono diventati effimeri o, peggio, utilitaristici. Ci si frequenta, poco. Si parla ancora meno. Non ci si confronta più e questo porta all’arrogante convinzione di avere per forza ragione. Perché senza un contraddittorio non si può capire che può esistere una realtà ben lontana e diversa dalla nostra. Mi spaventa, mi spaventa molto questa visione, ma non è così onirica, purtroppo i pizzicotti mi fanno capire che la realtà è diventata questa. Tutto, subito, a qualsiasi costo e, per favore, non chiedeteli di ringraziare. Tutto dovuto, tutto rinfacciato, tutto buttato in faccia senza accorgersi che non si ha nemmeno più la soddisfazione nell’ottenere le cose. La fatica era ciò che ci faceva apprezzare il traguardo. Se la strada è in discesa e senza ostacoli, è facile arrivare al traguardo.
Chiunque crede di poter fare qualsiasi cosa. Chiunque parla di qualsiasi cosa, senza peraltro nemmeno porsi il dubbio: ma sono competente in materia? Ah, si, l’esempio lampante è il COVID e relativi vaccini. Che a volte il solo parlarne mette di cattivo umore, che a volte senti dire cose che fanno rabbrividire, fanno venire la pelle d’oca. E la maggior parte di queste persone, che sproloquiano di vaccini e relativi effetti, non sanno nemmeno cosa sia un antigene, un m-Rna, una proteina, nulla. Eppure parlano e straparlano come se avessero appena ritirato il Nobel per la Medicina.
Sveglia! Il lato umano prima o poi tornerà a prevalere. Sveglia! Non siamo automi privi di sentimenti o casse automatiche pronte ad erogare denaro. Sveglia! Sempre che quel sonno che prima generava mostri, non abbia definitivamente mandato in coma irreversibile l’ultimo sprazzo di ragione.
QUANTO PUO’ DURARE UN MOMENTO?
Certo che siamo proprio fragili. Sottoposti alle pressioni di una vita in perenne mutamento. Ora anche isolati da parte del mondo, inibiti nelle nostre normali attività. Chi ha la fortuna di poter continuare al sua vita, nella normalità, appare come un miracolato. Cosa cambia in questo contesto pandemico, nei nostri rapporti umani?Molto. Cambiano i ritmi, cambiano i colori, le sfumature. In tanti si chiudono in se stessi, per paura dell’altro. Paura che ora non è solo emotiva, giustificata da timidezze o insicurezze. Paura di entrare in contatto con qualcuno che, inavvertitamente, diventa il veicolo di un virus bastardo che poi limita la vita. Perchè questo è: il COVID ci limita. Libertà approssimata, incontri fugaci, quasi fossimo clandestini in un paese sconosciuto. E’ un momento, passerà.Ma quanto dura un momento? A volte il tempo di un battito di ciglia. A volte lo spazio di una parola sfuggita. A volte il tempo di una cura, di un intervento nel profondo dell’anima. A volte è per sempre. Ma questo per sempre è raro. Per sempre significa accendere il fuoco da una scintilla, nutrirlo, proteggerlo dagli spifferi quando è appena acceso, alimentarlo con nuova legna da ardere, evitare che la cenere lo spenga. Quanta paura c’è nel donarsi completamente ad un altro? Di quanti momenti è fatta questa vita che ci isola e poi ci unisce e ci separa. Un insieme di stati d’animo. Sono “in love”. Perdutamente e completamente. Un attimo dopo invece non ci si ama più. O magari non ci si è mai amati. Non innamorati, ma amati. L’innamoramento è evanescente. L’amore invece assume sì, diverse forme, ma dura nel tempo. Amore. Una parola di una bellezza disarmante, ma che fa paura come fosse una pistola puntata in faccia. Un attimo, premi il grilletto e non ci sei più. E quel grilletto è un passato che torna, una consapevolezza diversa di sè, una presa di distanza da situazioni difficili da gestire. Un passato amaro che torna ad essere dolce. Un passato lungo mezza vita, che all’improvviso decide che tu sei il suo obiettivo e non importa cosa è successo prima, dopo, durante. Un carattere simile ad un uragano che investe qualsiasi cosa incontri e in un momento fa scomparire tutto ciò che con pazienza si era costruito. un momento.E quanto può durare, quel momento?
COERENZA
Ho una grandissima idiosincrasia con un termine: incoerenza. Mille difetti, mille sfaccettature che ci rendono unici al mondo. Mille lati oscuri, maschere, il gioco dei personaggi a seconda del contesto. Ci sta tutto questo. Ma alla base deve esserci una sola cosa: la coerenza. Con se stessi, con le proprie idee manifeste e nascoste. Possiamo indossare mille e più maschere ma non possiamo nasconderci dietro esse quando ci guardiamo allo specchio. I nostri occhi vedono i nostri occhi, vedono il nostro Io più profondo. Non possiamo nasconderci a noi stessi, sarebbe indice patologico di una personalità multiforme.
In ogni ambito della nostra vita, la coerenza racconta ciò che noi siamo. Se semplici banderuole pronte a sventolare al primo alito di vento, oppure rocce alle quali aggrapparsi per cercare riparo e sicurezza.
Credo di appartenere alle rocce. Con una personalità duramente forgiata nel corso del tempo ed un carattere difficilmente sfaccettato. Una persona da avere accanto, ma difficile da sopportare. Questo credo in estrema sintesi mi rappresenti. Forse è anche questo il motivo dell’assenza di una metà della mela, per scomodare Platone, che mi completi. Perchè quella metà dovrebbe essere complementare a me e, probabilmente, non riesce ad individuarmi nel mondo che la circonda.
La coerenza, dicevo, è ciò che guida ogni mia azione. Non amo il compromesso, non amo il non detto. Amo la vita, le persone, con loro mi rapporto in maniera trasparente, magari nascondo le debolezze per paura di essere fragile, ma senza mai snaturarmi. Le parole che spesso mi vengono rivolte, appartengono al mondo della gratitudine. Mi piace poter aiutare gli altri a risolvere i propri problemi. Mi piace poter essere utile. Così ci si sente vivi. Almeno questo è ciò che vale per me. Mi piace donare un po’ di serenità a chi non la trova. Mi piace essere lì, quando le persone che amo ne hanno bisogno. Non risparmio nulla di me, non mi piace risparmiare. Non amo darmi a metà o a piccoli frammenti.
In questo sono molto coerente. E altrettanto coerentemente rimango di sasso di fronte all’incoerenza di persone che dicono di amarti, ma poi ti lasciano solo. Che dicono che sei importante, ma non condividono con te nemmeno le cose semplici. L’unica loro coerenza è quella di sfruttare la mia, il mio essere ciò che sono, consapevoli che il mio carattere mi porterà a dare loro ciò di cui necessitano. Per poi, magari, sparire nel vuoto.
CONCORSO DI COLPA
Il mondo sta soffrendo. L’Italia sta soffrendo. Ognuno dei comuni della nostra Nazione sta soffrendo. Un virus, una cosa microscopica mette in ginocchio ogni equilibrio a livello globale. La notizia del vaccino pronto per essere distribuito a pioggia sui territori maggiormente colpiti, in un certo senso ci fa intravvedere la luce alla fine del tunnel. Ma quella luce è ancora lontana e debole, rimane l’oscurità attorno a noi a fare da scenario alla nostra quotidiana sopravvivenza. Questa seconda ondata doveva essere quasi indolore. Doveva. Si. Perchè se si fossero prese le giuste misure, se non avessimo sottovalutato la forza infida di questa pandemia, non ci troveremmo ancora, oggi, limitati nella nostra libertà. Un concorso di colpa. Tra chi doveva decidere e non ne aveva le capacità e chi poteva agire e non ne ha avuto la forza. Senza armi non si vincono le guerre. Incompetenza e superficialità hanno avuto il ruolo principe di questa brutta storia. Peccato che il mancato lieto fine sia solo sulle spalle dei più deboli. Non si può governare un paese senza competenze, non si possono mettere nei ruoli chiave delle persone non adatte. I risultati poi li paghiamo tutti noi. Perchè nonostante le schiere di consulenti, se non si è in grado di prendere delle decisioni che non siano di pancia, se non si hanno le competenze per interpretare i consigli tecnici, bisognerebbe almeno avere l’onestà intellettuale di farsi da parte. Ma in questo paese l’onestà intellettuale e l’essere un rappresentante politico, evidentemente viaggiano su binari paralleli. Mai uno scambio, mai un punto di incontro e si viaggia verso il baratro. Dalle poltrone del Governo Nazionale a quelle più scardinate delle piccole autorità locali. Un ammasso di persone che sembrano messe lì a caso, che ragionano con arroganza di cose che nemmeno conoscono. Abbagliati dalla popolarità social, attenti all’apparenza, ad esserci e non ad essere. Il male di questa società. L’apparenza, il potere personale, il successo, la polemica, il sottrarsi dalle critiche. Ma il bene comune? Il dialogo? Il confronto? No, cose dimenticate, fuori moda. L’arroganza e il ricatto morale, sempre dietro l’angolo. Concorso di colpa. Perchè se tutto questo succede è colpa di tutti, è colpa nostra. Soprattutto nostra. Soprattutto di chi, depositario di valori, cultura e tradizione, per sfinimento si fa da parte e si limita ad osservare l’inizio della fine.
VORAGINI
Sono passati molti giorni dall’ultimo post scritto. Troppi, durante i quali le riflessioni non si sono mai arginate. Un fiume in piena che non ha però trovato l’attimo per essere navigato. E ora mi trovo all’interno di un vortice troppo grande da gestire. Molte situazioni si sono rincorse, in diversi campi, con un unico comune denominatore: l’apparenza. Salvare le apparenze, accecati dalle apparenze, aggrappati alle apparenze. Il dover per forza far brillare le proprie stelline di fronte all’altrui merito, il fatto di dover dimostrare il proprio ruolo, di dover conservare l’opinione che altri hanno di noi. Tutto per un mero egocentrico bisogno di sentirsi al centro del palco. Nel bene o nel male, la coerenza è il principio che guida ogni mio passo. Talvolta si inciampa. E’ umano. Ma l’importante è riconosere l’ostacolo come tale, così da affrontarlo on il giusto equilibrio alla prossima occasione. Ma a volte non basta. Perchè se la coerenza non è condivisa, così come l’umiltà e la sincerità, non si può proseguire senza ostacoli improvvisi e sconosciuti. Se io mi fido di una persona e questa sta solo portando la sua maschera, pronta a levarla alla prima occasione, al primo sbaglio, per riversare odio e commiserazione, diventa difficile poter costuire qualche cosa di duraturo, solido e vero. Così si vive di rapporti estemporanei, anche in famiglia, nella famiglia allargata soprattutto. Se non c’è sincerità e stima alla base di un rapporto, questo sarà traballante dal prio all’ultimo passo. Una sembianza, inumana questa volta, di qualcosa che non c’è. Quanta falsità, quante menzogne, quanti falsi sorrisi e parole buttate al vento. Ed è solo l’inizio di un ennesimo percorso irto, ricco di insidie, pronto ad ingoiarci all’improvviso, senza che, nessuno di noi, possa prevedere la crazione della voragine che ci farà scomparire.
In una caverna senza filosofi.
Si naviga a vista, talvolta, nell’orizzonte della vita. Non per scelta, ma per necessità. La società è cambiata, sembra ignorare la possibilità di programmare un percorso di vita. Si vive hic et nunc, in una immediatezza che sembra svanire anche a sè stessa. Questo implica che la costruzione di rapporti sia sempre più difficile. L’immediato non consente di guardarsi alle spalle o sollevarsi in punta di piedi per scorgere cosa ci sia all’orizzonte. Si vive chini sulla propria vita, facendo attenzione ad ogni singolo passo, nell’intento di non cadere nel baratro. Ma è vita questa? E’ la vita che avevamo sognato? La condizione del fanciullo, che ancora privo di termini di paragone, si stupisce ad ogni eveno, ci abbandona sempre più presto. Anche in tenera età siamo inebetiti dalla moltitudine di immagini che ci viene propinata dalla carenza di affetto e dalla iperpresenza di sussidi elettronici, atti a placare l’emozione del vivere. “La condizione umana ha bisogno di anestetici”, così dice l’interprete di Freddy nel film che ha fatto riscoprire la carriera di un mito della musica. E non ha tutti i torti il suo autore. Siamo anestetizzati nel vivere la nostra vita. Anche il pianto o il capriccio di un bimbo è placato con tablet o telefonini, pronti ad offrire immagini che diventano una sorta di effetto placebo del dolore. Ma dove stiamo andando? In che direzione? Qualcuno lo sa? Il bello dell’anestetico è l’assenza di dolore, che però alla fine del suo effetto ci rende ancor più esposti agli effetti devastanti di quell’assenza effimera. Lo vediamol tutti i giorni, in ogni ambito, in ogni fase della vita. Genitori pronti a chiudere sotto una campana di vetro i propri figli, esseri privi di responsabilità nell’errore, privati della possibilità di sbagliare, di sbattere la testa contro quei muri, che hanno aiutato tutti noi a crescere. Sbagliare deve far parte della nostra vita, provare dolore ci aiuta a godere della gioia. Siamo ombre, come nella platonica caverna. Non abbiamo nemmeno più la speranza che il filosofo ci illumini con la sua idea. Che ci renda consci della verità.
Quando arroganza fa rima con ignoranza
Il post di oggi nasce da recenti situazioni personali. Che poi sono personali fino ad un certo punto, visto che coinvolgono ben molte altre persone oltre me. Da tempo nascondevo anche al mio io le sensazioni negative scaturite in certe circostanze. Perchè gli eventi procedevano senza intoppi, perchè sembrava esserci sempre una giustificazione plausibile ad ogni gesto, ad ogni parola che invece faceva stridere il mio animo. Sono una persona sensibile, forse addirittura ipersensibile all’ignoranza imperante e dilagante. Non sopporto chi si arroga diritti senza evidenziare al contempo i propri doveri, non sopporto la superficialità e soprattutto la presunzone di essere al di sopra di tutto e tutti, giudicando gli altri con lo stesso metro con il quale, a posteriori, poi si vive la propria vita. Il mio sesto senso si accende e brilla di fronte a persone ignoranti, nel senso più vero e originario del termine, che credono di farsi beffa degli altri. Soprattutto si illumina di fronte a decerebrati che credono di essere furbi, di poterla far franca sempre, di essere così “sgamati”, come direbbe qualche giovine d’oggi, da non farsi beccare in fallo. Perchè solo uno stupido arrogante, non si sarebbe accorto del gesto d’intesa sotto quel tavolo, o delle battute ironiche mirate a ferire, o degli sguardi accondiscendenti quando si tentava di trovare delle spiegazioni. La comunicazione non verbale non ha segreti per me, cinesica, prossemica, tutto diventa subito immediatamente chiaro. Ma che ne sanno gli organismi mononeuronici, che solitamente ridono in maniera sguaiata, quasi a voler coprire l’eco cerebrale provocato dal movimento a sbattere di un unico neurone ubriaco. Il mio stato d’animo ora è chiaro e la situazione, l’ennesima, di vissuto vero, va a consolidare le mie teorie. Solitamente l’ignoranza viene mascherata con comportamenti arroganti e poco rispettosi nei confronti del prossimo, studiati e addolciti da movenze e toni mielosi, nel tentativo di ingannare altre menti vuote. Ma, senza timore di poter essere smentito, il mio pensiero non va a sbattere in una stanza vuota, i miei neuroni sono funzonanti e soprattutto ben coordinati. Quindi rimane l’ignoranza di fondo, che troppo spesso purtroppo sfocia in una arroganza di fatto.
LA SOLITUDINE
Ci sono molti modi di sentirsi soli. Ci si sente soli quando attorno non c’è nessuno, quando nel corso della vita si perdono delle persone, quando si vive da soli per scelta o per puro caso. Ma ci si sente soli anche quando le idee, le emozioni, i racconti di vita, non trovano interlocutore alcuno per poter essere condivisi. Quando qualcosa nella vita fa breccia nei sentimenti, è normale poterlo raccontare, condividiere. Ecco la mancanza di interlocutori validi, per quel che mi riguarda, è la peggior forma di solitudine. Perchè pur circondati da molte persone, quando l’anima si sente sola, si chiude in se stessa.